giovedì 19 luglio 2012

Musicoterapia e Alzheimer - Riflessioni (6)

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Leggi la seconda parte.
Leggi la terza parte.
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Leggi la quinta parte.

La respirazione buccale – aprire un nuovo canale energetico

Francesca tiene normalmente la bocca completamente serrata e in tensione. La apre volontariamente solo per bere e mangiare, pur con qualche difficoltà motoria legata alla forte tensione locale. La bocca chiusa, su un piano simbolico, può essere riportata a due significati diversi ma correlati: repressione della propria aggressività (morderei e urlerei, ma ho paura e quindi sbrano me stessa, tenendo tutto dentro, rimasticando i denti); tentativo di mantenere il controllo sul mondo esterno e sulla propria emotività (sto perdendo il controllo, mi devo aggrappare a qualcosa, serro la bocca).
La tensione ha modificato negli anni l’espressione di Francesca, che si mostra in una chiara curva verso il basso, come nella tipica, stilizzata faccina che indica la tristezza.


l'espressione abituale di Francesca. Notare la curva della bocca e la tensione al collo

La tensione buccale, d’altra parte, è inserita in una complessiva gestalt psico-fisica nella quale paura, rabbia e perdita di controllo sono associati a rigidità dovute alla degenerazione cerebrale.
L’assenza di parola di Francesca si inserisce in questo quadro. La sua chiusura, la sua bocca serrata, la sua decisione inconscia di non lasciar uscire nulla di sé, impongono il silenzio. Ricordiamo, a questo proposito, che tenere la presa, stringere l’osso, sono reazioni molto antiche, sul piano filogenetico, che precedono la possibilità dell’uomo di utilizzare le mani per la manipolazione del mondo. Prima delle mani e della posizione eretta, infatti, era la bocca il principale strumento di prensione, come accade per la maggior parte degli animali. È naturale, inoltre, che stringere coi denti la realtà esterna, impedisce l’articolazione della bocca per poter emettere i suoni e parlare.
A questa forza primitiva, oscura e profonda, si oppone per sua natura la vibrazione del suono. Alla contrazione esistenziale di Francesca, risponde il suono che è distensione, dispersione, armonizzazione, contatto, relazione. Il massaggio sonoro, che è stato compagno di viaggio di Francesca per più di un anno, ha lavorato a livello superficiale (delle tensioni del corpo) e a livello profondo proprio nella direzione del lasciar andare. Lo stesso dicasi, su un piano più espressivo e concreto, in merito al lavoro di dialogo sonoro e di danza-movimento terapia, dove si sono cercate insieme nuove modalità per sostenere e valorizzare le energie residue e la possibilità di Francesca di tornare a esprimersi come un essere umano completo malgrado le fratture provocate dalla dimenticanza e dall’assenza che la malattia degenerativa provoca.
L’intuizione mi ha suggerito, un giorno, di provare a tappare il naso di Francesca con due dita, per portarla a respirare con la bocca, lasciando così andare la tensione. La nuova proposta (una provocazione?!) è stata realizzata con grande cura, verbalizzando quello che stavo facendo, con un contatto morbido e delicato, per quanto deciso. Sorprendentemente, Francesca non ha rifiutato l’occlusione, e in poco tempo ha accettato di aprire la bocca, iniziando a respirare in modo diverso. Nel corso delle terapie successive, abbiamo utilizzato un tappanaso da piscina, che è stato mantenuto (e accettato) per più di un’ora di lavoro.


La bocca che si apre è un nuovo canale energetico (concreto e reale, ma anche simbolico) che si mette in movimento: ritmi respiratori diversi, più profondi e, soprattutto all’inizio, più sincopati, irregolari, con lunghe apnee; sbadigli; progressiva distensione della muscolatura della mascella e, parzialmente, delle spalle; apprendimento e accoglimento di un diverso modo di entrare in relazione con il mondo esterno (prendere e dare l’aria dalla bocca, dalle viscere, passando attraverso le corde vocali); lasciare uscire il proprio alito, dall’odore acido e nauseabondo; progressiva nuova regolarità respiratoria; mollare la presa causata dalla paura; giorno dopo giorno, riduzione del cattivo odore dell’alito.
Uno dei temi che ho sempre sospettato essere collegato al serrare la bocca, come accennato sopra, è quello della rabbia. E ne abbiamo avuto presto una conferma. Francesca ha infatti avuto chiare espressioni di aggressività, modulate attraverso il cambiamento dell’espressione della bocca, della sua curva, e su un piano più attivo, stringendo con forza, in un rapido scatto, le sue mani sulle mie.


appena indossato il tappanaso: la bocca trema, ed emerge chiaramente la rabbia


progressivamente la bocca si rilassa, il respiro si apre allo sbadiglio, la rabbia c'è ancora

L’apertura della bocca, il lasciar andare la presa per poter respirare, per poter continuare a vivere, riportano alla luce quanto viene ingoiato, fanno emergere le emozioni trattenute, nascoste. Quelle positive (l’espressione del viso cambia, e in alcuni casi Francesca accenna un sorriso); quelle negative, come nel caso della rabbia.


Francesca con il tappanaso, al termine di una seduta. Notare il cambiamento di espressione e
della curva della bocca, e la riduzione della tensione del collo (confronta con l'immagine a inizio capitolo)

(fine sesta parte - continua)

mercoledì 18 luglio 2012

Musicoterapia e Alzheimer - Riflessioni (5)

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Dialogo sonoro – comunicazione sonora e movimento

Conclusi i primi sei mesi di lavoro, abbiamo deciso di aprire un nuovo spazio nell’incontro terapeutico. La seduta è stata divise in due parti di durata variabile a seconda delle condizioni specifiche di Francesca giorno dopo giorno. Nella seconda parte si è proseguito ad utilizzare il massaggio sonoro. Nella prima parte, ha avuto inizio una fase di esplorazione musicale basata sulle tecniche principali del dialogo sonoro vero e proprio. Prima attraverso il pianoforte (strumento a lei più familiare), poi con l’uso dei flauti, dei tamburi e di altre percussioni, Francesca e io abbiamo iniziato a comunicare quasi esclusivamente con i suoni, muovendoci nella stanza liberamente, in un setting fisso ma fluido. Francesca ha così potuto far emergere nuove risorse, curiosità e una capacità di concentrazione e di stare nella relazione che sarebbero state inimmaginabili prima di tale lavoro. Farò tre esempi.
Francesca è stata attratta dalla tastiera del pianoforte. Su mia richiesta, ha provato più volte a suonare, schiacciando i tasti del pianoforte per lo più con la mano destra nel registro acuto. Era chiara, forte, la sua voglia di suonare, quanto altrettanto evidente la sua mancanza di energia, i suoi timori e la sua delicatezza. Nella maggior parte dei casi, infatti, Francesca riusciva a schiacciare in autonomia i tasti, ma senza riuscire a emettere alcun suono. L’ho aiutata, facilitando il risultato, suonando insieme mano nella mano. In alcuni casi, lei ha stretto la mia mano, guidandola sui tasti.



Un incontro inatteso è stato quello con il suono dei flauti. In terapia utilizzo normalmente due flauti molto diversi per caratteristiche sonore: un flauto dolce tenore e un flauto bansuri in la. Il primo è caldo, morbido, modulato, perfettamente addomesticato; il secondo è più tonico, ancestrale, aperto. Il flauto dolce è stato usato per primo. In un breve, magico incontro, Francesca ha cercato una vera compenetrazione con me e con il suono. Il filmato che segue mostra la ricchezza di questo incontro, la vitalità del dialogo sonoro in atto.

malgrado la posizione fissa della videocamera tagli le teste, è possibile osservare in modo chiaro
i movimenti delle mani di Francesca. Il suo sguardo, non visibile, era costantemente fisso nel mio

La voce dei flauti è per Francesca un ottimo richiamo al presente, alla relazione, all’incontro con l’altro. Usato in fase di apertura della seduta, favorisce la sintonizzazione e riporta lo sguardo, la mente e il corpo di Francesca nel vivo della relazione terapeutica.

malgrado le teste tagliate, è possibile osservare lo sguardo di francesca
costantemente rivolto verso il mio, e il movimento del bacino, ricco di significati e di energia

I tamburi, infine, sono stati per Francesca uno stimolo efficace al movimento. Il suo passo leggero, lento, quasi impercettibile, ma costante e insofferente, a sostenere un corpo rigido, a volte fuori asse, ha potuto trovato nel suono del tamburo nuova vitalità. Con il tamburo ho accompagnato quel passo attraverso un rispecchiamento preciso ma non schematico, arricchendo in alcune fase il suo movimento. Al ritmo antico del tamburo, Francesca ha accompagnato spesso un bellissimo e fluido movimento del bacino in avanti e indietro (visibile anche nel video precedente con il flauto). Con la collaborazione di una fisioterapista, inoltre, abbiamo stimolato Francesca verso movimenti a lei meno familiari, più dinamici, tonici, rapidi, in direzioni diverse (movimenti circolari, all’indietro) che partissero da un diverso contatto del piede a terra (via le ciabatte, indossate le calze antiscivolo), un po’ temuto, come mostra la foto che segue.

a inizio seduta, il piede, immobile, rimane sollevato da terra, in tensione


Ma infine accolto.

i piedi appoggiati a terra, a metà della seduta

(fine quinta parte - continua)

Musicoterapia e Alzheimer - Riflessioni (4)


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Leggi la seconda parte.
Leggi la terza parte.

Dialogo sonoro – la relazione e la tecnica
Come detto, i primi sei mesi sono stati dedicati esclusivamente al massaggio sonoro con il pianoforte attraverso la tecnica dell’improvvisazione terapeutica. In questo periodo, di grande importanza sono stati i momenti di preparazione e di chiusura dell’intervento, durante i quali si è posta molta attenzione alla comunicazione con Francesca. Osservazione, contatto visivo, contatto corporeo con le mani, accoglienza, empatia. Nessuna tecnica permette di sopperire a una mancanza sul piano della relazione, dell’essere realmente presente in quel preciso momento insieme alla persona che si è preso in carico. La cura ha inizio da qui, dall’essere vicini nel momento presente: respirare con attenzione accanto all’altro, osservare con apertura mentale e curiosità, attendere i tempi di risposta dell’altro, fare proposte con l’attenzione necessaria, stimolare con energia quando lo si ritiene adatto, e così via. 

Francesca esplora un bastone della pioggia fatto in casa

Da un punto di vista musicoterapico, è già questo l’avvio di un dialogo sonoro. Ogni relazione è un rapporto musicale, basato sui suoni della voce, sui ritmi del corpo (respiro, cuore, velocità di eloquio, ecc.), sul tono, sull’armonia di corpo e mente.
Le tecniche del massaggio sonoro o del dialogo sonoro, quindi, sono certamente importanti, ma non possono e non devono essere talmente importanti nella testa del musicoterapeuta, da far sparire tutto il resto. Ho commesso troppe volte questo errore negli anni di apprendistato di questa professione; e ho assistito troppe volte a situazioni nelle quali l’obiettivo del terapeuta e la sua tecnica erano così importanti da costringere il paziente ad adattarsi ai suoi bisogni, ribaltando così inconsapevolmente il processo alla base della presa in carico. In ogni percorso di cura, è un errore tanto comune quanto grave: il paziente, la sua individualità, i suoi bisogni spariscono dietro a un fattore ritenuto più importante, ovvero la propria tecnica, il proprio obiettivo. In fondo, non è altro che il solito problema della paura e del potere, per cui il terapeuta si nasconde dietro alla propria tecnica per la paura di incontrare davvero i bisogni e le risorse del paziente, e rischiare di trovarsi, chissà come, impreparato o inadeguato di fronte a esse. 

suonare insieme il bastone della pioggia. attendo, guido, mi lascio portare

Ma la vera risorsa, la vera possibilità di cura passa attraverso un incontro reale e non forzato con le persone che hanno bisogno di aiuto. Non sarà mai il paziente a doversi adattare a una tecnica, ma la tecnica a modularsi in funzione delle necessità del paziente.
Francesca non avrebbe mai perdonato nuove imposizioni e nuove fratture. La sua condizione già così dolorosa aveva bisogno di condivisione, di comprensione e di fiducia. Il massaggio sonoro, risorsa importantissima e ricchissima, è stato accolto e accettato grazie a un attento lavoro di preparazione e di chiusura della relazione terapeutica, favorito anche dalla presenza costante di un familiare che, in diverse occasioni, è stato per Francesca utile facilitatore e punto di riferimento. Lo stesso rispetto è stato alla base della conduzione dei dialoghi sonori.

Francesca decide di chiudere il dialogo sonoro con il bastone della pioggia


(fine quarta parte - continua)

martedì 17 luglio 2012

Musicoterapia e Alzheimer - Riflessioni (3)


Leggi la prima parte.
Leggi la seconda parte.

Improvvisazione terapeutica – quale musica
A discapito della sua apparente chiusura all’esterno, Francesca ha mostrato da subito una grande sensibilità rispetto alla stimolazione sonora: risposte chiare, immediate e significative verso le proposte sonore con il pianoforte. L’improvvisazione è stata quindi calibrata in modo attento, partendo dalla semplicità ritmica, armonica e melodica. Temi musicali familiari, ripetuti con variazioni graduali e poco complesse, reiterati, spesso accompagnati da vocalizzi caldi e rassicuranti. L’obiettivo, lo ricordo, era principalmente quello di accogliere, coccolare, confermare, nutrire

il volto rilassato, la bocca distesa, al termine di un massaggio sonoro con il pianoforte


Ciò non toglie che, per verificare anche la capacità di risposta di Francesca alle proposte sonore, non si sia voluto osare in più momenti: brusche variazioni ritmico-melodiche, cambi di intensità, ecc. hanno permesso di
riscontrare una chiara e salutare reattività di Francesca. In un'occasione, la sua reazione emotiva è stata tale da voler proprio scendere dal pianoforte, e interrompere così l’improvvisazione. Anche segnali di fastidio o rifiuto, in casi come questo, quando coerenti e contestualizzati, sono importanti e dimostrazione di vitalità. In generale, utilizzo precise increspature ritmico-armoniche, solitamente nella fase centrale del percorso di improvvisazione, con due obiettivi: verificare come tali variazioni vengono accolte dalla persona; attraverso l’interruzione repentina (ma preparata) del rispecchiamento, si favorisce la riduzione della capacità di autocontrollo (cosciente o inconscio) sulle proprie risposte psico-fisiche alla musica. Quest’ultimo tema, in particolare, merita un breve approfondimento.
Sia in condizioni normali che di malattia, a livello più o meno consapevole, la nostra mente agisce in modo costante nella direzione di tenere sotto controllo le reazioni personali alle diverse stimolazioni, nei diversi contesti di vita. Il controllo della mente, nell’illusione egoica e onnipotente della sua supremazia su tutto il resto, è spesso associato a una significativa riduzione dell’ascolto dei segnali inviati dal corpo (da qui, spesso, la nascita di manifestazioni psicosomatiche), e a una
strutturale incapacità di lasciarsi andare e di partecipare con pienezza alle esperienze che si stanno vivendo. Si riduce in questo modo la possibilità che si manifestino intuizioni impreviste e trasformative (i cosiddetti insight), che sono la base di reali opportunità di cambiamento.
Facendo esperienza con la pratica dell’improvvisazione terapeutica, ho sempre più verificato l’importanza di prevedere fasi di decisa rottura con quelle che possono essere strutture ritmico-armoniche più familiari e realizzare un vero percorso nel percorso di destrutturazione e decostruzione dei riferimenti per il paziente, agendo contemporaneamente sul piano razionale, emotivo e fisico. Inutile dire che tali rotture variano a seconda delle caratteristiche individuali delle persone, e della cultura musicale loro e del musicoterapeuta. 
Nel caso di Francesca, visto la delicatezza della sua sensibilità, tali provocazioni sonore non sono mai state particolarmente violente o destabilizzanti, ma calibrate con molta attenzione, sia per intensità che per durata. In ogni caso, hanno rappresentato momenti molto importanti nell’evoluzione del percorso terapeutico. Francesca ha spesso accolto questi momenti con chiare risposte emotive, a partire da profondi sospiri, dall’accelerazione del battito cardiaco, da un aumento del tremore degli arti inferiori e da una successiva maggiore distensione

il respiro regolare, privo di apnee, al termine di un massaggio sonoro al pianoforte. 
notare il profondo, liberatorio sospiro finale.


Allentato il controllo inconsapevole della mente, questa mente così fragile ma ancora così concentrata nel non lasciar andare nulla (uno dei paradossi più grandi della demenza), l’equilibrio psico-fisico di Francesca è aumentato, ritrovando maggiore unità, maggior benessere e, a quel punto, anche una rinnovata capacità di lasciarsi trasportare dal movimento delle onde sonore, in alcuni casi fino ad addormentarsi per brevi periodi. La parte conclusiva dell'improvvisazione terapeutica con Francesca è sempre stata orientata alla ricomposizione di un'unità che superi la frammentazione, sia sul piano ritmico che armonico.

(fine terza parte - continua)

venerdì 13 luglio 2012

Musicoterapia e Alzheimer - Riflessioni (2)


Leggi la prima parte.

Improvvisazione terapeutica – i segnali del corpo
Per circa sei mesi, con cadenza settimanale, Francesca è stata esclusivamente nutrita di vibrazioni sonore. 




Abbiamo deciso di partire dalla base, senza altre finalità specifiche se non una grande attenzione alla relazione e alla comunicazione non verbale, e all’immersione nell’improvvisazione sonora. Con qualche resistenza iniziale, progressivamente superata, Francesca si è distesa sulla cassa armonica del pianoforte e ha vissuto ripetute esperienze musicali, attraverso le improvvisazioni che realizzavo seguendo con attenzione le sue caratteristiche psico-fisiche. 
Il mio faro è stato (ed è sempre) il respiro. In diversi momenti dell’improvvisazione, la musica ricalca ritmicamente e tonicamente il respiro. Nei cambi di accordo, nella conduzione della melodia, nelle variazioni tematiche, il respiro con le sue irregolarità, increspature, sospensioni, mi ha sempre dato i segnali più importanti e di base da seguire. Stare con il respiro del paziente è anche il principio guida per lavorare sulla sua accoglienza, sulla conferma del suo modo di essere, sull’accettazione attraverso la tecnica del rispecchiamento sonoro. Inoltre, osservare improvvisi sbuffi, sospiri, sbadigli è un modo molto efficace per comprendere come stanno cambiando le tensioni psico-fisiche della persona durante il percorso di improvvisazione sonora. Infine, il respiro che si fa più lento, profondo e regolare verso il termine della seduta, è sempre un chiaro segnale di distensione, di maggior benessere. 



Un altro elemento significativo è il battito cardiaco, che in Francesca ho seguito osservandone il movimento all’altezza del collo. Le alterazioni del battito sono particolarmente significative per riconoscere improvvisi sommovimenti emotivi, così come per individuare cellule ritmiche utili all’improvvisazione perché ben più dinamiche di quelle del respiro, e altrettanto personali e caratteristiche.
Altri elementi di osservazione sono molto utili in casi come quelli di Francesca, dove la comunicazione spontanea verso l’esterno è quasi del tutto assente. È il caso della lacrimazione degli occhi, segnale di importanti cambiamenti dello stato emotivo; oppure delle vibrazioni muscolari dovuti alla stimolazione sonora e al rilassamento (per Francesca, è frequente la vibrazione dei piedi). 



O ancora, la postura complessiva, in particolare la direzione dello sguardo, l’apertura o chiusura delle palpebre, la posizione delle mani, la disposizione delle gambe (per Francesca, accavallare le gambe è un segnale di tranquillità, di sentirsi a proprio agio).  Insomma, lo sappiamo, il corpo parla anche quando non vuole o non può, ed è importante rintracciare questi messaggi con grande attenzione.
Durante l'improvvisazione terapeutica, è importante staccare il più possibile il controllo visivo delle mani sulla tastiera, per portare la propria attenzione sul paziente disteso sulla cassa armonica. Fa parte della preparazione, è un esercizio che consiglio a tutti di fare più e più volte. Senza dimenticare di lasciare andare, noi per primi, le nostre tensioni psico-fisiche, in modo da potersi dedicare pienamente all'osservazione e all'ascolto, e di poter accogliere, reinterpretare, rimodulare i segnali deboli che ci arrivano, per poterli poi trasformare intuitivamente e istantaneamente in musica. 

(fine seconda parte - continua)

Musicoterapia e Alzheimer - Riflessioni (1)


Inizio oggi la pubblicazione di una serie di articoli di approfondimento sul lavoro di musicoterapia che sto realizzando in ambito Alzheimer. Le riflessioni su improvvisazione terapeutica al pianoforte, dialogo sonoro, terapia individuale e approccio olistico, seguiranno il filo rosso del percorso terapeutico che sto svolgendo con una paziente che, in questa sede, chiameremo Francesca (nome di fantasia). Di seguito la prima parte.

Musicoterapia individuale in casa di riposo
Mi piacerebbe farti conoscere Francesca.
Eccola qui.



Francesca rientra nel grande e variegato gruppo delle persone affette dalla cosiddetta malattia di Alzheimer. L’ho incontrata per la prima volta un anno e mezzo fa, perché tra i primi pazienti che ho preso in carico all’interno del progetto sperimentale di musicoterapia che sto sviluppando con l’Associazione Ricerca Alzheimer di Lissone presso l’R.S.A. Agostoni di Lissone. 



Il progetto è speciale, per almeno due ragioni: perché lavoro individualmentecon ogni paziente per un’ora a settimana; perché stiamo utilizzando in forma sperimentale la tecnica di improvvisazione terapeutica al pianoforte.
Confrontandomi con altri specialisti nel settore (sia musicoterapeuti che danza-movimentoterapisti) ho potuto constatare che le attività di questo tipo sono quasi sempre pensate per interventi di gruppo. L’esigenza di ottimizzare il più possibile i costi è uno dei criteri principali alla base di tale scelta. Ma credo esista anche un aspetto importante di progettualità, secondo la quale l’intervento di musicoterapia è concepito soprattutto come intervento di integrazione/animazione/intrattenimento, intendendo ciascuno di questi termini con il valore più alto possibile. È indubbio, infatti, riconoscere in questi obiettivi alcuni dei bisogni primari più importanti e delicati per persone affette da demenza: in una quotidianità fatta di disperata dispersione di sé, di isolamento, di sconforto, il lavoro nella dimensione di gruppo ha grande valore.
A mio avviso, tuttavia, manca una ricerca che si ponga anche altre finalità.
La scommessa alla base del progetto sperimentale pensato insieme ad Aral è quella di effettuare un lavoro di sostegno terapeutica con il singolo paziente, che ponga maggiore attenzione alle caratteristiche, ai bisogni, alle risorse residuali specifiche di ogni persona. Sapendo che abbiamo a che fare con una patologia degenerativa che conduce inevitabilmente alla morte, abbiamo tuttavia l’opportunità, nella dimensione dell’intervento individuale, di stimolare la persona in modo più personalizzato, e di lavorare con un approccio olistico che cerchi di ri-armonizzare, per quanto possibile, le difficoltà organico/cerebrali con quelle psicologiche e, perché no, spirituali dei pazienti.
Da questo punto di vista, la nostra Francesca è una persona con bisogni, aspettative di vita, modalità relazionali, percorsi umani propri, difficili da catalogare e generalizzare. L’osservazione all’interno di quella che chiamo la stanza dei suoni, ovvero il luogo attrezzato di pianoforte a coda in cui realizzo gli interventi di musicoterapia, permette di svelare aspetti di Francesca che è più difficile conoscere all’interno del reparto. Nella sua quotidianità Francesca appare infatti quasi completamente chiusa all’esterno: non parla, osserva poco gli altri, deambula avanti e indietro per i corridoi del nucleo protetto, non partecipa ad attività di gruppo, non manifesta iniziative personali su nulla. Sul piano fisico, Francesca è sempre tesa, stretta nelle spalle, bocca serrata, respiro piccolo, irregolare, sottile, a volte si storta sul fianco destro, il passo è lento ma costante.



Nella stanza dei suoni, nel corso dell’anno e mezzo di lavoro, Francesca ha mostrato altri lati di sé. Oltre l’apparente povertà di capacità residue e la chiusura, sono emerse una spiccata attenzione per i suoni, del pianoforte ma anche dei flauti e del tamburo; una diversa capacità di interagire con l’interlocutore (contatto degli occhi, azioni personali coerenti con specifiche richieste); la possibilità di ridurre la grande tensione che caratterizza la sua armatura psico-somatica. Sul piano emotivo, l’apparente apatia legata a due facce con la ferma impossibilità di lasciarsi andare,  ha dato spazio al piacere di essere immersa nella vibrazione dei suoni, alla rabbia per la propria condizione di dolore e di confusione, alla commozione per alcune esperienze sonore e relazionali particolarmente coinvolgenti. E poi, gradualemente, la possibilità di comunicare con il mondo esterno e, improvvisamente, il ritorno della parola. Di questi temi, parlerò nei prossimi giorni.

(fine prima parte - continua)

Son Felice - Una Canzone di Elisabetta

Conosco Elisabetta da un paio di anni.   Affetta da decadimento cognitivo, lavoriamo con la musica per esplorare risorse inaspettate, per ...