I mesi della pandemia in una R.S.A. sono mesi difficili.
Si respira la paura concreta per la diffusione del virus. In molti casi, purtroppo, si fanno i conti con i numerosi decessi che avvengono giorno dopo giorno, all'interno di una "popolazione", quella dei residenti, tra le più fragili e a rischio.
Si sospendono le visite dei familiari, che interagiscono, quando possibile, solo attraverso videochiamate.
Si interrompono buona parte delle attività di socializzazione che sono l'occasione reale di incontro, di scambio e di alleggerimento.
Si osservano e sperimentano relazioni con gli operatori del tutto inedite, filtrate da mascherine, guanti, vestaglie... in un processo che amplifica il distacco, l'anomia, l'isolamento.
Il tempo della pandemia in una R.S.A., per gli ospiti che la abitano, è un tempo difficile all'interno di una situazione già normalmente difficile.
L'amplificazione della solitudine e dell'abbandono si accompagna, spesso, al senso di colpa e alla perdita di senso. Nella lucidità possibile di molti ospiti, infatti, l'idea di trovarsi in quell'altrove dalla propria "casa" si muove di pari passo con l'idea di vivere una punizione per qualcosa che è stato commesso. C'è una frattura col proprio quotidiano, che gli effetti della pandemia rendono spesso tragica.
Fino a quando mi è stato possibile, circa un mese fa, mi sono mosso all'interno di questa quotidianità come testimone attivo. Insieme agli altri operatori, ho portato le mie competenze e la mia presenza.
Ho la fortuna di poter lavorare con una "cosa" meravigliosa: la musica. Suoni, vibrazioni, ritornelli, strutture armoniche, ritmi e canti sono una risorsa enorme.
Viene da chiedersi come mai, ancora oggi, in diverse strutture e realtà socio-assistenziali la musicoterapia sia considerata un lusso. Ma questo è un altro discorso.
Ogni incontro sonoro è una sorpresa. Ed è relazione primaria. Entravo nei reparti con una chitarra, un handpan, un tamburo, la mia voce e iniziavano ad accadere le cose. Le più belle sono i racconti.
Le persone improvvisamente, tra un canto e l'altro, si raccontano. Parlano del loro quotidiano, dei loro ricordi, delle loro paure. La musica è il terreno relazionale dal quale germogliano le "confessioni" intime. Abbiamo parlato anche della pandemia e del loro isolamento. Abbiamo parlato dell'isolamento nell'isolamento che le persone ospiti della R.S.A. stavano vivendo, forzatamente lontani dai propri parenti. Io portavo un sorriso, un suono e una carezza armonica. La musica è balsamo.
E poi l'amore.
La musica muove l'amore, il sentirsi vicini e in sintonia. Trasformare la paura, la sofferenza e l'apprensione in suono è la magia maieutica che l'arte rinnova ogni volta. Il canto in gruppo è una delle forme più alte di amore e di incontro.
Nonostante le fatiche, dopo ogni esperienza sonora, le persone tornavano a sorridere e a guardarsi in modo diverso. Non so dire quanto durasse questa sensazione. E immagino sia stato diverso per ognuno di loro. Ma la leggerezza d'animo arrivava come un raggio di sole caldo e confortante.
Sono quasi due mesi che non lavoro. Le difficoltà del quotidiano non si trovano solo all'interno di una R.S.A. Abbiamo sperimentato tutti noi la sensazione di isolamento. Chi è fortunato, ha passato il proprio periodo di chiusura in un ambiente confortevole e a contatto con le persone che ama.
Molti hanno sentito tuttavia la frattura con le relazioni (sociali e ambientali) alle quali erano abituati.
In questo lungo periodo ho cercato di prendermi cura. E ho sempre sentito un grande conforto nel ripensare ai volti e ai gesti di ognuno degli ospiti che incontravo in Casa di Riposo.
Ecco, nonostante fossero loro gli "ospiti", ogni volta avevo la sensazione che fossero tutti loro, insieme, ad aprirmi la porta per accogliermi, dandomi la fiducia di un sorriso, attendendo insieme che, voce nella voce, il suono portasse conforto e gioia.
Sto contando i giorni che mi separano da quando potrò tornare a incontrarli.